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"And then there were none": Agatha Christie sul piccolo schermo.

"We are all hunted"

La caccia. E' questo uno dei temi principali che caratterizzano il famoso giallo di Agatha Christie, "Dieci piccoli indiani". Pubblicato in Gran Bretagna nel 1939 con il titolo originale di "Ten Little Niggers", viene edito in Italia da Mondadori e pubblicato nel 1946, inizialmente con il titolo di "E poi non rimase nessuno". Con il record di 110 milione di copie risulta essere il libro giallo più venduto in assoluto.


La storia è semplice: dieci persone su un isola, tutte con un passato ambiguo, iniziano uno ad uno a morire in circostanze misteriose. Il colpevole sarà uno di loro? Se sì, chi? Se no, chi sta dando loro la caccia? Una trama tanto semplice che riesce a coinvolgere il lettore e a tenerlo per tutto il tempo con il fiato sospeso.
Nel corso degli anni tante sono state le trasposizioni di questa storia sul piccolo e sul grande schermo. In particolare  oggi voglio parlare della miniserie televisiva  commissionata nel 2015 dalla BBC, in onore del 125° anniversario dalla nascita di Agatha Christie: "And then there were none", trasmessa in Italia solo un anno dopo.


La serie vede un cast interamente inglese, costituito da nomi noti come Sam Neill, Miranda Richardson e Charles Dance. Il punto di vista principale sotto cui ci viene posta la storia è quello del personaggio femminile di Vera Claythorne (Maeve Dermody), donna forte e moderna per i tempi in cui la storia è ambientata, soprattutto se posta in confronto con l'altro personaggio femminile di Emily Brent (Miranda Richardson), donna dall'educazione rigida e austera. 

"Ten little soldier boys went out to dine; 
one choked his little self and then there were nine."

E' questo il primo verso della filastrocca che guida noi e i personaggi stessi nell'evolversi della storia. Non ho ben capito perché abbiano deciso di trasformare il termine "nigger" (o "indian" nelle versioni successive) in "soldier". L'aggettivo nigger utilizzato dall'autrice si collega al fatto che la misteriosa isola su cui si trovano i protagonisti prende il nome di "Nigger Island", in quanto 'a forma di testa di negro'. Questa variazione in ogni caso non incide molto sulla trama, che infatti si basa su tutt'altro.


L'elemento che differenzia questo romanzo dagli altri di Agatha Christie è l'assenza del deus ex machina, una figura capace di risolvere il mistero e di spiegare i vari accadimenti (come Miss Marple o Hercole Poirot). Questo può essere un problema per una trasposizione cinematografica, in quanto comporta che i fatti si debbano spiegare sé. Nel caso di And then there were none il risultato è ottimo in quanto gli autori sono riusciti a a dare ad ogni personaggio il suo giusto spazio per presentarsi e per farsi conoscere dallo spettatore, spalmando la storia sui tre episodi in maniera abbastanza equa, senza appesantirne nessuno.


In generale non amo quando in una trasposizione cinematografica o televisiva di un romanzo vengono fatte delle modifiche immotivate. In questa serie la storia viene raccontata in maniera molto similare alla successione di eventi originale, con l'aggiunta però di alcune scene (in particolare nel terzo episodio) di cui forse si poteva fare a meno. Queste scene in particolare aggiungono dei legami tra alcuni personaggi che in realtà non vengono minimamente accennati nel romanzo, quindi l'unico motivo che posso immaginare per giustificare il loro inserimento è che probabilmente gli autori volevano cercare di rendere in qualche modo più interessante la storia e la psicologia dei personaggi, che si trovano in una situazione in cui non sanno di chi potersi fidare e ogni azione degli altri mette in dubbio tutto ciò pensato fino a quel momento. A scandire il tempo sono presenti dieci statuette, poi nove, otto, sette.. Per ogni statuetta che sparisce un nuovo colpevole viene preso in considerazione.


Le variazioni che mi hanno fatto storcere il naso sono quelle riguardanti il carattere di alcuni personaggi e i loro retroscena. Mentre alcuni dei protagonisti sono stati rappresentati in maniera per lo più fedele, almeno per quanto riguarda i loro comportamenti, altri sono stati secondo me totalmente stravolti. Il bello di questa storia è che fino alla fine il lettore non riesce a capire se i personaggi siano effettivamente colpevoli o meno di ciò per cui vengono accusati, viene lasciato con il beneficio del dubbio. Nella serie alcuni flashback sono più che chiari, mostrano chiaramente la colpevolezza dei personaggi ribaltandone un po' anche il carattere. L'ambiguità che percorre tutto il romanzo in parte si perde, perché sì non sappiamo chi sia il misterioso signor U.N.Owen che ha invitato tutti sull'isola, ma scopriamo subito che i personaggi sono chiaramente colpevoli, seppur vivono nel rimorso di ciò che hanno fatto. Lo vediamo in particolare nei flashback che riguardano il maggiordomo Thomas Rogers (Noah Taylor), il generale John MacArthur (Sam Neill) e la segretaria Vera Claythorne (Maeve Dermody). Addirittura nel flashback inerente il passato del detective William Blore (Burn Gorman) si vede un motivo di colpevolezza totalmente diverso da quello presente nel libro, e che non ha lo stesso significato. Questo fattore si confonde con la variazione nel carattere di alcuni personaggi, in particolare Rogers e il dottor Edward Armstrong (Toby Stephens). Il maggiordomo Rogers infatti è nel libro una persona molto cortese e servile, che ama la moglie e che si preoccupa profondamente per lei; nella serie invece viene presentato come una figura viscida già solo dall'aspetto, che svolge il suo lavoro solo perché deve eseguire gli ordini, senza il minimo interesse, e violento nei confronti della moglie. Io mi chiedo: perché? Quel è il motivo di questa scelta? Ai fini dello sviluppo della storia non comporta nulla. Mi pongo lo stesso quesito per quanto riguarda il citato dottor Armstrong, tanto lucido e pronto ad agire nel romanzo quanto isterico e per nulla controllato nella serie, tant'è che in una scena Vera Claythorne sceglie addirittura di schiaffeggiarlo (mentre nel romanzo accade l'inverso).


Per quanto riguarda Vera Claythorne, devo dire che la trasposizione del suo personaggio non mi è affatto dispiaciuta. Il suo retroscena è quello più approfondito, forse l'unico caso in cui riesce a tenersi costante fino alla fine il dubbio sulla sua colpevolezza. Donna forte e moderna, riesce a tenere testa agli uomini intorno a lei che tendono a battibeccarsi continuamente tra loro.


Il finale (no spoiler, tranquilli) è stato appositamente adattato per rendere al meglio la spiegazione per lo spettatore. Nel libro, infatti, il mistero viene svelato tramite la lettura di una lettera trovata successivamente ai fatti di Nigger Island, cosa che probabilmente avrebbe potuto creare un po' di confusione nella messa in scena della storia, mentre la serie termina sull'isola. Non mi è ben chiara la dinamica con cui si svolge la scena finale, ma non volendo rovinare il finale a chi non ha ancora letto il romanzo mi fermo qui.

Oltre alla fotografia e alla dettagliata scenografia, un punto bonus a favore della serie è la recitazione degli attori, che ben riescono a creare quell'atmosfera di panico e di disagio dovuti alle circostanze in cui si trovano e alla convivenza con degli estranei in uno spazio così ristretto. Essi paradossalmente sono circondati dalla calma, derivante dalla condizione di isolamento in cui si trova l'isola e  che incrementa il senso di prigionia che aleggia tra loro.


Per concludere, io consiglio di spendere del tempo nella visione di questa serie. I tre episodi, tutti ben equilibrati, durano meno di 60 minuti ciascuno. L'ideale sarebbe vederli uno dietro l'altro, per ottenere lo stesso effetto di suspance che deriva della lettura incatenante del romanzo. 

Vi lascio qui il trailer, così che possiate convincervi da soli ;)


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